Cinque anni tra campagne mediatiche e nemici (anche interni) analizzati in un libro
Pubblichiamo stralci dal capitolo conclusivo del libro “Attacco a Ratzinger”, scritto dal vaticanista del Foglio Paolo Rodari e dal vaticanista del Giornale Andrea Tornielli, in libreria in questi giorni per i tipi di Piemme.
Cinque anni sotto attacco. Cinque anni, di Joseph Ratzinger al soglio di Pietro, caratterizzati da continue incomprensioni. Da una parte lui, Benedetto XVI, le sue parole mai conformate alla mentalità del mondo. Dall’altra parte un mondo che non lo capisce e che dopo ogni suo intervento reagisce spesso in un solo modo, attaccando. Solo a scorrere le rassegne stampa internazionali, bisogna ammettere l’esistenza di un attacco contro Papa Ratzinger. Un attacco dimostrato dal pregiudizio negativo pronto a scattare su qualsiasi cosa il Pontefice dica o faccia. Pronto a enfatizzare certi particolari, pronto a creare dei “casi” internazionali. Questo attacco concentrico ha origine fuori, ma spesso anche dentro la chiesa. Ed è (inconsapevolmente) aiutato dalla reazione a volte scarsa, di chi attorno al Papa potrebbe fare di più per prevenire le crisi o per gestirle in modo efficace.
Questo libro non intende presentare una tesi precostituita. Non intende accreditare in partenza l’ipotesi del complotto ideato da qualche “cupola” o spectre, neanche quella del “complotto mediatico”, divenuto spesso il comodo lasciapassare dietro al quale alcuni collaboratori del Pontefice si trincerano per giustificare ritardi e inefficienze.
E’ però innegabile che Ratzinger sia stato e sia sotto attacco. Le critiche e le polemiche suscitate dal discorso di Regensburg; il caso clamoroso delle dimissioni del neo arcivescovo di Varsavia Wielgus a causa di una sua vecchia collaborazione con i servizi segreti del regime comunista polacco; le polemiche per la pubblicazione del Motu proprio “Summorum Pontificum”; il caso della revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, che ha coinciso con la trasmissione in video dell’intervista negazionista sulle camere a gas rilasciata a una tv svedese da uno di loro; la crisi diplomatica per le parole papali sul preservativo durante il primo giorno del viaggio in Africa; il dilagare dello scandalo degli abusi sui minori, che non accenna ancora a placarsi e rischia di stendere un’ombra sugli ultimi anni del pontificato wojtyliano. Di bufera in bufera, di polemica in polemica, l’effetto è stato quello di “anestetizzare” il messaggio di Benedetto XVI, schiacciandolo sul cliché del Papa retrogrado, depotenziandone la portata.
“E’ difficile dire se ci sia un complotto contro il Papa”, ci spiega Marcello Foa, inviato del Giornale, analista di politica estera, docente di giornalismo all’università di Lugano e autore del libro “Gli stregoni della notizia. Da Kennedy alla guerra in Iraq: come si fabbrica informazione al servizio dei governi” (2006), “ma di certo, le vicende degli ultimi anni, lasciano intravedere il tentativo di ridimensionare l’influenza della chiesa nel mondo.
E’ un fenomeno che a mio giudizio rientra in un contesto più ampio. Dalla caduta del Muro di Berlino è in atto un processo che conduce al continuo indebolimento delle istituzioni tradizionali (stati, chiese, eccetera) e il trasferimento di potere a grandi società private, organizzazioni internazionali, interessi lobbistici, talvolta dichiarati, altre volte no. Durante la Guerra fredda, la chiesa – e in particolare Giovanni Paolo II – ricopriva un ruolo importante, rappresentava un puntello morale per l’occidente, contribuiva a regolare le nostre società e al contempo, per la sua influenza nell’Europa dell’est, era una spina nel fianco dell’Unione sovietica. Crollato l’impero sovietico sono cambiati i parametri e gli interessi prevalenti. La chiesa non era più un puntello, ma un ostacolo, un elemento di conservazione, un potenziale contropotere. Da una ventina d’anni è in corso un processo di continua erosione del prestigio del Vaticano attraverso i media, ma anche il cinema. I film hanno un potere di persuasione enorme. Quanti sono i lungometraggi di successo internazionale positivi, di esempio o affascinanti sulla chiesa o perlomeno sulla fede cattolica? Pochissimi. Quanti invece quelli in cui la chiesa e i cardinali emergono come cattivi, intriganti e ipocriti? Molti di più. E non a caso. Il processo di erosione riguarda anche Internet, la saggistica, persino la narrativa, come nel caso dei romanzi di Dan Brown”.
Chi conduce dunque questo attacco? “Non ho prove certe, ma mi sembra sia quell’establishment, impalpabile, che incoraggia la riduzione della sovranità nazionale a vantaggio di istituzioni sovranazionali, che promuove la globalizzazione, la supremazia della finanza sugli altri settori economici e il cui potere di condizionamento è emerso con forza in occasione delle crisi del 2008 e 2010”. Dice lo storico della chiesa Alberto Melloni: “Non penso ci sia un complotto contro il Papa. Ciò non toglie che vi siano dei temi sui quali si sa che la chiesa cattolica può essere percepita antagonisticamente e dunque non si può escludere che vi sia qualcuno intenzionato a metterla in imbarazzo per depotenziarne il messaggio. Vorrei però chiarire subito che non si tratta, a mio avviso, dei temi di carattere etico. Non credo che le posizioni della chiesa contro l’aborto o i matrimoni gay diano davvero così fastidio ai governi e agli stati. Invece le posizioni contrarie alla guerra probabilmente sì. Ricordo che in un’udienza concessa in Vaticano al presidente degli Stati Uniti, Giovanni Paolo II si sentì chiedere da George Bush che cosa stesse accadendo alla chiesa americana colpita dallo scandalo della pedofilia. Si racconta che uscendo da quell’udienza, Wojtyla avrebbe detto: ‘Avrei dovuto chiedere al presidente quanti sono i repubblicani pedofili…’. In ogni caso, eviterei il paragone con la situazione odierna, perché mi pare che il problema dello scandalo per gli abusi sui minori riguardi molto di più l’Europa che gli Stati Uniti”.
Di un attacco “oggettivo” contro Benedetto XVI parla il giornalista russo Alexey Bukalov, direttore dell’ufficio romano dell’agenzia “Itar-Tass”. Dice: “C’è un attacco contro la chiesa, mi sembra oggettivo. Questo Papa è sempre guardato con sospetto e qualsiasi cosa faccia o dica, non va mai bene. Non gli perdonano di essere tedesco, di avere l’età che ha e di essere un testimone della guerra… Non gli si lascia passare niente. Lui, d’altra parte, a molti attacchi non reagisce e continua a fare passi ‘politicamente scorretti’, che corrispondono alla sua integrità, alla sua visione teologica. Credo che abbia sofferto quando è stato eletto: avrebbe voluto studiare, scrivere libri e suonare Mozart. Non posso parlare di ambienti precisi per la provenienza di questi attacchi, ma vedo la cosa dal punto di vista leninista: sono interessi politici. Penso alla situazione molto tesa nel mondo – dall’aggressività del fondamentalismo islamico al secolarismo – e si percepisce che certi ambienti stanno cercando un punto debole del Papa. Tentano di scaricare su di lui ogni colpa per lo scandalo della pedofilia, ma da questo punto di vista mi sembra che le responsabilità maggiori vadano attribuite al pontificato precedente”. La lotta di Ratzinger contro il relativismo sarebbe una delle cause degli attacchi a cui è sottoposto il Papa secondo George Weigel, scrittore ed editorialista cattolico statunitense, consigliere anziano dell’Ethics and Public Policy Center nonché autore di una monumentale e documentatissima biografia di Giovanni Paolo II. Ci spiega: “Non penso ci sia una cospirazione nei confronti del Papa, nel senso di una campagna organizzata per impedire le sue iniziative o far deragliare il suo pontificato. Ma agli occhi dei secolaristi dell’Europa e dell’America del nord, egli incarna l’ultimo ostacolo istituzionale di fronte a quella che egli stesso ha chiamato una volta ‘dittatura del relativismo’.
Quindi ha degli avversari, e nemmeno pochi – e questi generalmente hanno accesso ai media mondiali. L’agenda secolare spesso coincide con l’agenda di quei cattolici che ancora anelano alla rivoluzione che non c’è mai stata: Hans Küng e i suoi alleati giornalistici sono quelli che mi vengono in mente. Costoro non sono semplicemente pronti a immaginare un Ratzinger diverso dalla caricatura che loro stessi hanno creato e propagandato. Come nel caso di Giovanni Paolo II, i nemici di Benedetto XVI si rifiutano di confrontarsi con le sue idee. Si limitano a denunciare e si lamentano di quella che, erroneamente, dipingono come teologia reazionaria”.
Decisamente contraria all’accreditare la tesi della campagna mediatica contro Ratzinger è invece la responsabile dell’ufficio romano di corrispondenza del New York Times, Rachel Donadio. “Rifiuto categoricamente”, ci dice “l’idea che ci sia un attacco a Papa Benedetto XVI dietro agli articoli sul problema sistemico degli abusi sessuali sui minori da parte di preti e sulla riluttanza, di vecchia data, da parte del Vaticano e vescovi locali di punire i preti che hanno commesso crimini che violano sia la legge canonica che quella civile”. E ancora: “Credo che la nozione stessa di ‘attacco’ evidenzi anche le differenze culturali tra il giornalismo americano e italiano. In Italia, generalmente si presume che ci sia sempre qualcosa dietro a un tipo di giornalismo critico, e le critiche alla chiesa sono lette nel contesto di una lunga storia di anticlericalismo. Ma negli Stati Uniti c’è una profonda tradizione di giornalismo investigativo e una convinzione radicata nella popolazione che il ruolo della stampa sia quello di esaminare e tenere sotto controllo qualsiasi istituzione o persona che abbia una posizione di potere. In questo modo gli articoli del New York Times sul Papa e sulla chiesa non differiscono assolutamente dagli articoli su qualsiasi altro politico internazionale o grossa multinazionale. Come corrispondente per il New York Times dal Vaticano, nei momenti peggiori di marzo e aprile, mi sono sentita come tra due treni paralleli, ognuno dei quali sfrecciava sul proprio binario. Su un binario c’erano i miei editors al New York Times che si chiedevano perché la strategia di gestione della crisi in Vaticano sembrasse così problematica (come quando il cardinale Sodano, la domenica di Pasqua, ha offeso profondamente le vittime di abusi chiamando le critiche nei confronti della chiesa ‘chiacchiericcio’. Sull’altro binario c’era il Vaticano, che si domandava perché il New York Times stesse ‘attaccando’ il Papa”.
Dice il vaticanista americano John Allen: “Gran parte della copertura (mediatica) della chiesa cattolica e di Benedetto XVI, a proposito della crisi sugli abusi sessuali come su altre materie, è stata senza dubbio scadente e ingiusta”, riconosce. “In generale, però, non credo che questo sia il risultato di una ‘campagna’ per colpire la chiesa. In particolare le teorie cospirazioniste costituiscono una distrazione dai problemi reali esistenti e che riguardano la pubblica comprensione del Vaticano e della chiesa. Elencherei quattro di questi problemi: l’alto tasso di ‘analfabetismo religioso’ che caratterizza i principali media; lo scetticismo istintivo dei giornalisti nei confronti delle istituzioni e dell’autorità; le pressioni ad adeguarsi a tempi sempre più stretti per la cultura tipica del Ventunesimo secolo, quella delle “notizie istantanee”; l’approccio alla comunicazione che presenta molte incapacità e risulta qualche volta controproducente, da parte di molti funzionari della chiesa”.
Ritiene assolutamente inedita la situazione attuale, il decano dei vaticanisti italiani, Benny Lai, che può ancora mostrare con orgoglio la tessera della sala stampa vaticana firmata dall’allora Sostituto della segreteria di stato Giovanni Battista Montini. Ci dice che “non ricorda una situazione analoga a quella che si sta verificando oggi. In passato ci sono stati più momenti di crisi, talora anche litigi furiosi tra i cardinali e più di un Pontefice, riferendoci al Ventesimo secolo, ha dovuto in diverse occasioni difendersi anche da detrattori interni alla chiesa. Sovente si sono visti vescovi contro vescovi, spesso vi sono stati dissensi anche importanti entro la chiesa. Ma non si era mai arrivati alla situazione che vediamo oggi. Va da sé che la vicenda di un Ratzinger, il quale arriva al Concilio Vaticano II con la fama di teologo progressista e poi se ne emenda, parlando del ‘pathos tipico di persona giovane’, può far sorgere qualche interrogativo. Ma è sufficiente seguire le cose ecclesiastiche per rendersi conto che molte volte, a far acqua è il governo centrale della chiesa, è la scarsa disponibilità delle persone che dovrebbero coadiuvare il Papa a governare. Certo c’è anche da dire che Benedetto XVI con il suo carattere timido e riservato, non aiuta. Ma proprio per questo motivo dovrebbe avere al suo fianco una macchina ben oleata, perfetta, un maggior supporto. Lavorare nella curia romana è tutt’ altro che facile: Montini, divenuto Paolo VI, ci mise parecchio tempo prima di gestire a dovere ogni cosa e pensare che era stato in segreteria di stato per anni e anni”.
Il vaticanista francese Jean-Marie Guénois prova a ribaltare le carte in tavola. Si chiede: “E’ Benedetto XVI a trovarsi nel mirino? E’ davvero lui l’obiettivo ultimo delle campagne mediatiche? O non è piuttosto lui, con la sua mitezza ma con la sua altrettanta chiarezza, ad ‘attaccare’?”. Dice: “Più che un attacco al Papa, direi piuttosto che è partito un ‘attacco’ del Papa contro molti soggetti, portato avanti in un modo molto dolce, ma con una lingua precisa e affilata. La causa degli attacchi a Benedetto XVI va ricercata nell’‘attacco’ di Ratzinger a certi problemi: ad esempio sulla liturgia, ad esempio sull’importanza del rapporto tra fede e ragione, tema quest’ultimo che ha fatto molto discutere in Francia, dove si insiste invece sulla separazione tra fede e ragione, e dove gli illuministi da sempre contrari alla chiesa cattolica si trovano in imbarazzo perché oggi la chiesa quasi parla il loro linguaggio. Non è dunque, mi sembra, il Papa a essere sotto attacco, è lui che ‘attacca’ in modo chiaro… Gli attacchi, in fondo, sono soltanto un tipo di resistenza a problemi che lui ha posto”.
di Paolo Rodari e Andrea Tornielli
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